MODENA. «Avete spinto troppo quel cuscino». Una voce fuori campo arriva nel mezzo di un litigio al telefono tra due dei quattro ora agli arresti. È una frase altamente compromettente e infatti il pm del Tribunale dei Minori di Firenze, Pietro Sangermano, la cita nel suo fascicolo con le richieste di arresti in carcere per tutti e quattro.
Chi l’abbia pronunciata, non si sa: nessuno dei difensori ha potuto avvicinare i ragazzi ieri.
leggi anche:
Il racconto del padre di Leo: «Ho capito troppo tardi che qualcosa non andava»
L’avvocato Giberti ripercorre attimo per attimo il tragico pomeriggio del delitto «Perdiamo un figlio d’oro, è un dolore immenso. Non sapevamo che fosse gay»
Nel fascicolo dell’accusa compare anche di più ma nulla di solido al cento per cento. Ci sono gli spezzoni di ammissioni fatte ad alcuni alla polizia nell’immediatezza dell’arresto. Frasi che riportano sensi di colpa e parziali ammissioni di responsabilità. Ce n’è una in particolare che entra nel merito dell’accaduto ma che il magistrato con estrema cautela considera ancora da confermare perché in certi punti esagerata, spinta fuori dalla concretezza dell’accaduto.
Insomma, un po’ alla volta cominciano ad affiorare le voci di questi adolescenti che si trovano inchiodati a un accusa con l’omicidio volontario aggravato e forse anche l’occultamento di cadavere.
Materia per un’ampia discussione legale c’è già ora: spingere troppo il cuscino rientra in una premeditazione di alcuni del gruppo oppure indica un gesto esagerato che preterintenzionalmente ha portato alla morte di Leo, quando si doveva solo spaventare? «È troppo presto per tirare le conclusioni - spiega l’avvocato Gianandrea Terranova - non abbiamo potuto neppure parlare con i nostri assistiti per il differimento di colloquio previsto dal magistrato».
«Sicuramente bisognerà ricostruire la posizione di ciascuno e attribuire a ciascuno le sue affermazioni. Un compito che sarà lungo e che in ogni caso oggi è troppo prematuro», spiega l’avvocato Tiziano Veltri.
Sicuramente oggi si inizierà a fare ordine con gli interrogatori di garanzia che saranno effettuati con gli indagati agli arresti impossibilitati a parlare l’uno con l’altro e quindi senza una versione concordata: ognuno dirà la sua e racconterà cosa ha fatto; a quel punto la ricostruzione prenderà lo spessore che ora manca.
leggi anche:
Modena, ucciso per un “ricatto sessuale” Arrestati in 4 per la morte di Leo
La vittima minacciava di rivelare l’omosessualità del coetaneo che voleva troncare la loro relazione Così questo ha convocato gli amici chiedendo aiuto: insieme lo hanno soffocato e chiuso nel trolley
«No, non è vero che il sedicenne che assistiamo si è costituito, come scritto dalle agenzie. Ha invece reso dichiarazioni spontanee per chiarire che è estraneo all’omicidio, che non era sul luogo del delitto e che non ha visto o saputo niente in quel momento». L’avvocato David Madera di Prato, insieme con il collega Gianandrea Rosati, difende l’unico della banda di adolescenti cinesi a non trovarsi agli arresti in un carcere minorile. È il ragazzo che era rimasto fuori dalla camera da letto di Leo. Il ragazzo che aveva visto il padre di Leo, l’avvocato Andrea Giberti, mentre stazionava nell’atrio davanti al portone. Uno sconosciuto adolescente che gli faceva i complimenti per come Leo parlava in italiano e gli chiedeva di insegnarlo anche a lui. Lo stesso che ha poi detto che Leo era appena uscito di casa...
Quel giovane si è presentato con i genitori ai due avvocati pratesi e ha raccontato la sua versione. Viene dalla Chinatown di via Pistoiese. Il padre è un operaio. Lui è nato e in Italia e studia in una scuola italiana ma l’italiano non lo parla bene. Ha detto, poco dopo in Questura a Prato, di essere andato col gruppo di amici a Modena ma di non aver partecipato alla spedizione. Gli investigatori lo ritengono attendibile. Il risultato è che ora è l’unico indagato a piede libero.
Per gli altri quattro invece la misura cautelare che dovrà essere convalidata oggi è l’arresto. Tre sono affidati alla Procura presso il Tribunale dei Minori di Firenze, competente per la zona di Prato, e uno alla Procura presso il Tribunale dei Minori di Bologna, che è quella che ora segue le indagini (in quanto il delitto è avvenuto a Modena, territorio di sua competenza). A Bologna si trova solo il primo arrestato, il 17enne portato in Procura a Modena dagli agenti della Squadra Mobile del dottor Marcello Castello e poi preso in carico dai colleghi bolognesi che seguono i minorenni.
Come detto, oggi incontreranno i magistrati per gli interrogatori di garanzia e le convalide. Ma proprio per evitare versioni concordate e unificate, ieri solo rimasti tutti e quattro in isolamento. Non hanno potuto incontrare neanche i loro difensori. Li vedranno solo oggi durante gli interrogatori. In questo modo gli investigatori e anche il magistrato suppongono che possano rendere versioni più verosimili che “aggiustate” (anche se poi nel viaggio di ritorno dopo l’omicidio da Modena a Prato, avranno sicuramente avuto modo di parlarne dell’omicidio e discutere su cosa dire in caso di arresto).
Una difficoltà che si profila a questo punto è quella strettamente linguistica. Il fatto è che nessuno dei quattro parla bene in italiano, mentre parlano tutti in cinese probabilmente con espressioni dialettali e gergali, data l’origine comune delle loro famiglie. Proprio per questo la loro versione sarà di difficile ricostruzione nel dettaglio: serviranno interpreti adatti alla situazione.
Per tutti loro l’accusa è di omicidio volontario pluriaggravato e in concorso. Resta da capire se ci sarà anche la premeditazione. Difficile ora immaginare quale sarà l’orientamento del magistrato che seguirà l’inchiesta. I segni di una vera premeditazione assassina sono difficili da scorgere in questa vicenda. L’omicidio pare invece scaturito dall’occasione violenta favorita dall’isolamento di Leo chiuso con quattro giovani rabbiosi nella sua stanza.
L’altro aspetto - l’accusa di furto - è invece importante dal punto di vista investigativo. Il furto del cellulare e della nuova consolle Wii appena comperata da Leo è probabilmente da ricondurre al tentativo di prendere possesso della sorgente delle immagini scabrose sul loro amico che aveva avuto una relazione gay con lui e impedire in questo modo la diffusione delle fotografie che loro stessi dicono essere state l’arma del ricatto sessuale da parte di Leo.
L’amico è un diciassettenne che abita in una palazzina pratese abitata e subaffittata dal padrone del laboratorio dove lavora il padre, un operaio.
Carlo Gregori