MODENA. «Non odiare chi ha ucciso il mio Marco mi salva». Marina Orlandi ha strappato lacrime, applausi e persino qualche risata ieri sera nella chiesa di Santa Rita. La moglie di Marco Biagi, giuslavorista Unimore ucciso 16 anni fa dalle Brigate Rosse, ha conquistato il cuore delle centinaia di presenti, soprattutto giovani. «Attorno a me c’erano 8-10 ragazzi della vostra età che mi guardavano attoniti - ha ricordato l’ospite - e un carabiniere che mi guardava come se fossi stata un’altra. Ho ancora in mente lo sguardo di quei ragazzi». Marco Biagi era docente universitario come la moglie. Ha insegnato a Modena, nella facoltà di Economia che porta adesso il suo nome. Marina e Marco si erano conosciuti in Africa. Nel 1999, quando le Brigate Rosse uccisero il collega Massimo D’Antona, chiese al marito di tornare subito da Roma, in cui lavorava come consulente per il governo. «Devo finire il lavoro di Massimo», le rispose il giuslavorista, finito sotto scorta. «Era minacciato da mesi dai brigatisti - ha ricordato Marina - che gli facevano telefonate anonime. Avevamo paura che succedesse qualcosa e il timore era anche delle istituzioni. Per un periodo ha avuto la scorta, poi il 6 ottobre 2001 gliela hanno tolta. L’ultima volta l’ha avuta proprio a Modena. Eppure, le minacce continuavano ad arrivare sebbene Marco ha supplicato che gli ridessero». Giunse così il tragico 19 marzo 2002 a Bologna. «Ero a casa con i nostri figli, uno faceva le medie, l’altro aveva appena cominciato l’università - ha aggiunto la moglie del giuslavorista - erano circa le 20,15. Aspettavamo Marco, avevo messo l’acqua sul fuoco per fare la pasta: vivendo con tre maschi capita spesso. Non ho però mai portato la pasta dentro l’acqua che bolliva. A un certo punto mi hanno chiamata giù, mentre scendevo le scale ho capito che era successo qualcosa a Marco. Appena sono scesa, a terra c’era mio marito ucciso».
Per Marina «è stata la cronaca di una morte annunciata perché le istituzioni l’avevano abbandonato in modo crudele e ciò ha reso la sua morte ancora peggiore». Sedici anni sono passati e la moglie del giuslavorista ha riconosciuto di essere rimasta a galla grazie «all’affetto dei cari e alla solidarietà della società». Da qui un appello ed essere sempre solidali, «senza pudore e senza paura». L’ospite ha sottolineato l’importanza che «la giustizia umana abbia funzionato». L’incontro è stato condotto dal vescovo di Modena, don Erio Castellucci. «La croce di Marina è stata ed è una croce pesante - ha esordito il vescovo, presentando l’ospite - ma lei è anche una testimonianza semplice e diretta per cogliere la profondità del male, l’importanza del bene e delle relazioni». Don Erio ha invitato a un profondo ascolto in apertura e a un minuto di riflessione in chiusura. Le parole di Marina hanno conquistato i giovani. «Siamo stati molto contenti di ascoltare e accompagnare la riflessione con il canto», ha riconosciuto Marta Roncaglia. «Una testimonianza nuova, per cui eravamo molto curiosi di ascoltarla», ha fatto eco Mariangela Governatori. «Ha portato un messaggio significativo per noi giovani», ha ribadito Massimiliano Ferrarini. L’entusiasmo dei giovani è stato salutato con favore anche da don Erio. «È importante che i giovani restino in contatto con i grandi drammi della vita», ha spiegato il vescovo. In Marina il vescovo ha trovato «una persona molto positiva, desiderosa di continuare, di testimoniare che il bene vince».Modena. La vedova Biagi ai giovani: «Mi salva non odiare quegli assassini»

Nella chiesa di Santa Rita, in occasione dei martedì del vescovo, Marina Orlandi, vedova di Marco Biagi, ha raccontato ai ragazzi la vita con il professore ucciso e quella drammatica sera