VIGNOLA. La Sala dei Grassoni della Rocca di Vignola (Piazza dei Contrari 4) ospita, mercoledì 6 febbraio, alle 20.30, un incontro a ingresso gratuito con lo scrittore Daniele Aristarco che, a partire dal suo saggio “Fake! Non è vero ma ci credo” fornisce preziosi strumenti di riflessione legati al sottile confine tra verità e menzogna e al proliferare delle fake news. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Qual è il filo conduttore di Fake?
«Alla base dei racconti c’è sempre una invenzione: a volte la narrazione mette in evidenza il bisogno di nutrirsi di storie dell’essere umano. In altre ne sottolinea gli aspetti più pericolosi dimostrando come la menzogna sia anche uno strumento di potere capace di condizionare l’uomo e cambiare il suo punto di vista sul mondo. Ad aumentare il potenziale distruttivo delle fake news oggi c’è la facilità di divulazione. Il rischio è di diventare - sempre più spesso - megafoni inconsapevoli».
Quale domanda si sente fare più spesso?
«C’è una domanda che mi pongono sia studenti sia lettori adulti: come mai “ci caschiamo”. Io rispondo sempre che accade perché ci nutriamo di storie ma che possiamo andare oltre. Le fake alle quali siamo inclini a credere sono quelle che più profondamente sfiorano la nostra parte più nascosta e profonda, quella che contiene le nostre grandi speranze e le nostre grandi paure. Prima ancora di un qualsiasi sito di debunking possiamo ragionare sul perché “quella” menzogna sia riuscita a coinvolgerci. Questo svela molto di noi stessi e anche del modo di porci di fronte alle informazioni. Spesso non cerchiamo di districarci nel mondo dell’informazione ragionando, ma speriamo di trovare delle soluzioni facili a problemi complessi».
Una caratteristica dei suoi scritti è la “gentilezza”. Se fosse un sentiero, dove porterebbe?
«Mi piace molto il sentiero della gentilezza, non so da dove parta e dove porti, ma so che è l’unico modo che mi consente di andare al passo giusto per attraversare i paesaggi del possibile».
Cosa ammira dei giovanissimi? E cosa vorrebbe ritrovare negli adulti?
«Dei più giovani, a partire da 8 anni, ammiro la capacità di essere pronti a ogni sfida. Sono in grado di porci dei problemi complessi e non hanno alcun pudore nel porre domande e nell’esprimere dissenso. Ecco, questa sfrontatezza mi piacerebbe la perdessero il più tardi possibile. Mi piacerebbe invece che gli adulti recuperassero una forma di oggettività e di confronto con il reale che forse nel tempo si perde un po’, perché ci si preoccupa di più delle immediate necessità, il punto di vista si restringe e tende anche a deformare la percezione della realtà. Noi siamo i primi grandi produttori di fake inconsapevoli».
Come è nata la figura di Quesalid, il personaggio che tiene le fila della narrazione?
«Ho incontrato la figura di Quesalid nel saggio di C. Levy Strauss “Antropologia strutturale”. Mi ha colpito la figura di questo giovane ragazzo che di fronte a un palese imbroglio comincia a porsi delle domande. Si chiede come smascherarlo e che cosa significherebbe smascherare una truffa così antica di fronte alla sua comunità, che è convinta sia reale e soprattutto che si giova di quegli effetti. Mi è sembrata una narrazione straordinaria. Io ho deciso di prendere quella storia e dare a Quesalid anche il mio sguardo e la mia voce. Sono convinto che per comprendere il sottile confine tra realtà e menzogna bisogna percorrerla quella strada, confrontarsi con la menzogna, provare a smontarla e raccontarla. In fondo una sola verità non esiste, non si può stringere tra le mani per mostrarla agli altri, la verità è frutto di una collaborazione tra tutti e va riformulata di tempo in tempo».
L’evento è stato reso possibile grazie ad ACE comunità Educante e Centro Anemos Vignola e Maranello. —