Chi non aveva un portafoglio all’altezza di un’auto di lusso dalle rifiniture erotizzanti ha sempre giocato sulla “personalizzazione” della propria macchina. Lo facevano i neopatentati, i quali riproducevano la cameretta da adolescente nell’abitacolo col raccoglitore di cassette, gli adesivi di jeanseria o peluches a invadere il coprivano posteriore. Da 40 anni le automobili si vedono infestare gli abitacoli di vaccate, al contrario delle prime utilitarie, quelle uscite nel famoso boom economico, quando l’italiano medio si procurava il gomito del tennista a furia di firmare cambiali per la 500. A quei tempi l’addobbo della macchina a forza di boiate non era concesso, nulla doveva disturbare la perfezione essenziale di quella meraviglia tecnologica targata “benessere”. L’auto veniva trattata come fosse un cavallo da corsa, insaponata ogni domenica e, quando il neo-automobilista rincasava la sera nei mesi invernali, prima di mettere l’amata sezèint in garage la copriva con un amorevole goldone di stoffa. La mattina dopo, in caso di gelo notturno, ecco che l’omarino stava 45 minuti d’orologio a scaldare il motore in cortile, distribuendo monossido ai polmoni dei condomini condannati a morte. Unico vezzo: la targhetta magnetica «non correre pensa a me», con le mini-foto dei familiari e l’immaginetta di San Cristoforo, protettore dell’automobilista. —
Figadeina on the road/ Quando la 500 provocava il gomito del tennista
